preistoria: i Mongos contro il Bar Stella!
Posted at 17:01 by Thalido
BAR STELLA
Una volta, sfogliando le pagine della cronaca di Roma di Repubblica, mi imbatto in un articolo dal titolo “Un cocktail più forte dell’ecstasy – In un bar sulla Cassia si preparano bevande sconvolgenti, a base di zuccheri fermentati”. La notizia come ovvio mi incuriosisce: appena leggo la parola "ecstasy" i miei neuroni entrano in fibrillazione. L’articolo parla di “cocktail a fermentazione di zuccheri”, “vere e proprie bombe in grado di mandare fuori di testa per un’intera nottata anche il più incallito dei bevitori”, e fioccano paragoni con Lsd e mdma. Il tutto è corredato da racconti di avventori che entusiasti parlano di veri e propri “trip”.
Non avendo mai nutrito grossa stima per le trovate giornalistiche, e succube della mia perenne dubbiosità sulla credibilità della stampa, lascio andare la cosa, seppur con rimpianto (ecstasy... ecstasy... aaaahh... fattanza legale...)
Dimentico la notizia abbastanza in fretta, finché un’amica non ritira fuori l’argomento: il bar esiste davvero, si chiama “Bar Stella”, ed è frequentato da parecchie sue conoscenze. La storia dei cocktail-bomba è apparentemente vera, e da più parti arrivano notizie sulla particolarità dell’esperienza.
Ovviamente la curiosità si ridesta improvvisamente. Finché un giorno non ci facciamo dare le indicazioni precise su come trovare il bar, e partiamo alla volta della via Cassia. Le informazioni dicono di oltrepassare il grande raccordo anulare, superare La Giustiniana e fermarci poco prima dell’Olgiata. E’ una sera di aprile e siamo in quattro: io, Tiki, Alan e Toni.
Arriviamo al bar Stella intorno a mezzanotte. Lo troviamo senza difficoltà: l’insegna illuminata gialla spicca nel nulla della Cassia-oltre-G.R.A. Intorno, in effetti, non ci pare di scorgere altro che non sia campagna e binari della ferrovia.
Il bar si presenta come una classica latteria di quart’ordine. Ambiente piccolo, due minuscole sale (una col bancone, l’altra con la tv), tipico arredamento da bar di periferia. Sulle mensole liquori nazionali e di importazione, davanti, appena entrati, le vaschette del gelato rigorosamente artigianale. Il tipo dietro al bancone avrà quarant’anni (portati male): stempiato, accento fortissimamente romano, al momento del nostro arrivo è impegnato in una discussione con un cliente arabo sul conflitto israelo-palestinese. La discussione si svolge su toni eufemisticamente beceri, dal quale capiamo soltanto che il barista non è semplicemente filo-israeliano, ma di comprovata fede ebraica (“A Roma noi ebrei siamo oltre il 15%” asserisce, nello sconcerto generale). I toni della contesa, le fastidiose luci al neon che illuminano l’ambiente, lo squallore dell’arredamento, ci fanno subito pensare di aver sbagliato destinazione. Ma niente da fare, l’indicazione è chiara: bar Stella, via Cassia dopo la Giustiniana. Ci hanno avvertiti, a dire il vero, che il locale all’apparenza altro non è che un banale e per giunta squallido bar di periferia, ma lo stesso stentiamo a sentirci a nostro agio. Per rompere il ghiaccio e saggiare l’ambiente, uno di noi va al cesso, due ordinano altrettante coppette di gelato, e io vado un attimo fuori a controllare se per caso l’insegna che spicca sulla Cassia non indichi un bar limitrofo.
Fuori noto tre ragazzi seduti a un tavolino nel buio. Parlano piano e strascicato, e sento fortissimo l’odore di buona marijuana, almeno secondo i miei parametri olfattivi. Dopo un po’ mi raggiunge Toni e mi chiede che dobbiamo fare. “Chiediamo” dico io. “Come lo chiediamo?” mi fa. “Non so. Possiamo dire senta, mi hanno detto che qui fate dei cocktail un po’ matti…”. Torniamo all’interno e troviamo il barista intento in una nuova discussione con Alan e Tiki (l’arabo nel frattempo se ne è andato). Non si sa come, è venuto fuori il discorso che Tiki è vegetariano. “Ma se sei vegetariano” fa il barista “perché cazzo ti mangi la Nutella? Che non lo sai che nella Nutella ci sta la gelatina animale? Che sei un vegetariano fasullo? Ah! Ah! Ah!”. Ridiamo tutti, più per imbarazzo che per effettiva empatia, e in effetti che cazzo c'è da ridere?
Il barista è loquace, come lo sanno essere i classici baristi burini di borgata. Umorismo modello Tomas Milian, modi di fare alla Bombolo, capezza d’oro al collo stile macellaio del Quadraro. Molto divertente da vedere al cinema, meno quando ti ci ritrovi alle prese, soprattutto tenendo in considerazione il motivo della nostra visita lì.
Il barista ha voglia di parlare. Battute a battutacce a ripetizione, del tipo “Mica sarete musurmani, Aho?!”. Dapprima in effetti la tiritera antiaraba sembra essere il suo argomento preferito. Sono portato a pensare che scherzi, ma frasi come “Se un italiano va in Marocco e si comporta come i marocchini fanno da noi je tajano le palle” denunciano una certa dose di fede razzistica, alla quale ci adeguiamo ossequiosamente. Niente di scandaloso alle nostre orecchie, solo che, per l’ennesima volta, mi ritrovo a pensare che noi non siamo lì per quello.
La sua preda preferita sembra essere Tiki. A un certo punto, presumibilmente per introdurre l’argomento “alcolici et similia”, Tiki chiede un cicchetto di whisky. La risposta del barista è “Ah, pure er uischi te bevi, eh? Mica me convinci, a me.” Poi si rivolge a noi e fa: “A me questo amico vostro me pare matto.” Risate. Di nuovo. Non siamo lì per quello. Il barista serve il whisky a Tiki e continua a straparlare di non so cosa. Per certi versi è una scena grottesca, una full immersion nella rozzezza di periferia vecchio stampo. Per altri è tutto clamorosamente misero e noioso.
Decidiamo di uscire all’aperto, nella piazzola antistante il bar dove, qualche tavolino più in là, i tre ragazzi di cui prima continuano a fumare erba e a parlare sottovoce. Stabiliamo il da farsi: c’è qualche discussione su chi tra noi debba entrare di nuovo e spiattellare l’argomento cocktail; nessuno si offre volontario ovviamente, e anzi ne nasce anche un accenno di discussione. Alla fine viene costretto Tiki. Lo vediamo entrare, parlare un po’ col barista, che scuote la testa. “Abbiamo sbagliato posto” pensiamo tutti. Poi il barista guarda verso di noi dalla porta finestra e fa cenno a Alan di entrare. Alan entra. Dopo Alan chiama Toni. Poi Toni esce e mi dice che posso entrare pure io (uno alla volta? mi chiedo. Ma perché???) Entro col barista che continua a infierire su Tiki: “Allora non hai capito?” Si rivolge a Alan: “Tu hai sentito, no? Spiegaglielo tu”. Alan non fa in tempo ad abbozzare un filo di discorso che il barista allarga le braccia e dice “che siete tutti rincoglioniti?” Infine rispiega la faccenda da capo, con voce strascicata e palesemente infastidito dall’avvento di noi cinque poveri stronzi, ma che cazzo volevamo da lui?
Fine prima parte